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Net-Zero Industry Act: partito il sostegno alla produzione UE di tecnologie a zero emissioni nette

Lo scorso giovedì 25 Aprile il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva la legge sull’industria a zero emissioni nette per rafforzare la produzione delle tecnologie necessarie per la decarbonizzazione.

Temi ed obiettivi

Con la Direttiva si intende sostenere la produzione di tecnologie necessarie per gli obiettivi UE in materia di clima ed energia, con l’obiettivo di rendere il mercato interno europeo adatto alla decarbonizzazione industriale. Inoltre, vengono introdotte procedure di autorizzazione più rapide e creazione di zone industriali a zero emissioni nette e nuovi criteri per gli appalti pubblici e le aste per le fonti energetiche rinnovabili.

Il Parlamento ha dato il via libera finale al regolamento con 361 voti favorevoli, 121 contrari e 45 astensioni.

Tale atto nasce in relazione all’esigenza di una notevole quantità di tecnologie energetiche pulite per sostenere il conseguimento degli obiettivi climatici dell’Europa per il 2030 e il 2050. Infatti, la UE importa in gran parte queste tecnologie e molti paesi terzi hanno intensificato gli sforzi per espandere la loro capacità di produzione di energia pulita.

Le principali prescrizioni

La “legge sull’industria a zero emissioni nette” (in inglese Net-Zero Industry Act), già concordata informalmente con il Consiglio, fissa per l’Europa l’obiettivo di produrre il 40% del suo fabbisogno annuo di tecnologie a zero emissioni nette entro il 2030, sulla base di piani nazionali per l’energia e il clima (PNEC), e di raggiungere il 15% del valore del mercato globale per tali tecnologie.

Le tecnologie che saranno sostenute comprendono tutte le tecnologie rinnovabili, il nucleare, la decarbonizzazione industriale, la rete, le tecnologie di stoccaggio dell’energia e le biotecnologie. La legge semplificherà la procedura di autorizzazione, fissando scadenze massime per l’autorizzazione dei progetti in funzione della loro portata e dei loro risultati.

L’accordo prevede la creazione di “Zone di accelerazione a zero emissioni nette”, che beneficeranno di un processo di autorizzazione veloce, delegando agli Stati membri parte della raccolta di informazioni per le valutazioni ambientali.

Criteri di sostenibilità e resilienza

I piani nazionali di sostegno volti a far sì che le famiglie e i consumatori passino più rapidamente a tecnologie come i pannelli solari e le pompe di calore dovranno tenere conto dei criteri di sostenibilità e resilienza. Anche le procedure di appalto pubblico e le aste per la diffusione di fonti di energia rinnovabili dovranno soddisfare tali criteri, anche se a condizioni che saranno definite più tardi dalla Commissione. Queste tecnologie, per beneficiare delle nuove procedure, dovranno garantire un minimo del 30% del volume messo all’asta ogni anno nello Stato membro o, in alternativa, un massimo di sei gigawatt messi all’asta ogni anno e per paese.

La legislazione è considerata come un passo verso un fondo di sovranità europea e dovrebbe aumentare i finanziamenti provenienti dalle entrate del sistema nazionale di scambio delle quote di emissione (ETS) e quelli necessari per la maggior parte dei progetti strategici inclusi nella piattaforma per le tecnologie strategiche per l’Europa (STEP).

I prossimi passaggi 

La legislazione ora dovrà essere formalmente adottata dal Consiglio per diventare legge.

G7: adottata la “Carta di Venaria”

Al termine dei lavori del G7 Clima, svolti tra il 28 ed il 30 Aprile 2024, i Ministri intervenuti riuniti a Torino, nella Reggia di Venaria, hanno adottato Dichiarazione congiunta, la c.d. “Carta di Venaria”.

L’obiettivo della risoluzione

La carta intende dare un seguito agli obiettivi concordati alla COP 28 e trasmette un messaggio chiaro agli altri Paesi, in particolare alle maggiori economie, sul livello di impegno che occorre per rispondere adeguatamente alla sfida del cambiamento climatico, in modo ambizioso ed efficace.

Gilberto Pichetto Fratin, insieme ai partner del G7, ha annunciato un’iniziativa sull’adattamento per rafforzare la cooperazione internazionale con i Paesi in via di sviluppo, in particolare con quelli più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici.

L’iniziativa, denominata ‘Adaptation Accelerator Hub’, intende contribuire a colmare il divario tra i livelli attuali di adattamento e quanto sarebbe necessario per rispondere con urgenza agli impatti dei cambiamenti climatici nei Paesi e nelle comunità più vulnerabili.

L’obiettivo è quello di accelerare l’implementazione e gli investimenti in azioni di adattamento, con particolare attenzione alla definizione di piani di investimento necessari per rispondere ai bisogni dei Paesi in via di sviluppo.

Gli impegni assunti dai Partecipanti

Con la Carta, sono stati assunti alcuni impegni ed iniziative, con riferimento, tra le altre, a:

  • Abbandonare l’uso di carbon fossile nella produzione energetica non abbattuta entro il 2035, per arrivare a emissioni climalteranti zero entro il 2050;
  • Promuovere strategie circolari per l’approvvigionamento sicuro e sostenibile dei minerali critici;
  • Ridurre le emissioni di metano;
  • Eliminare le emissioni di gas a effetto serra diversi dalla CO2;
  • Creare un “Hub G7” per accelerare le azioni di adattamento;
  • Favorire la forte crescita delle rinnovabili attraverso la moltiplicazione della capacità di stoccaggio dell’energia. In particolare, sestuplicare la capacità degli accumuli di energia al 2030, al fine di attuare l’impegno assunto nella COP28 di triplicare la capacità di produzione al 2030;
  • Promuovere la collaborazione del G7 nel settore dell’energia da fusione. In particolare, istituire un Gruppo di Lavoro sull’Energia da fusione;
  • Istituire una “G7 Water Coalition”, per una gestione coordinata ed efficiente delle risorse idriche;
  • Promuovere lo sviluppo di una “Agenda volontaria comune sul tessile e la moda circolari”;
  • Assicurare una transizione giusta verso l’energia pulita nei Paesi in via di sviluppo, in particolar modo all’Africa.

Per leggere la dichiarazione congiunta

chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.g7italy.it/wp-content/uploads/G7-Climate-Energy-Environment-Ministerial-Communique_Final.pdf

Legambiente: uno studio per evidenziare i benefici della decarbonizzazione

Legambiente, con Elemens, ha rilasciato un importante studio sul tema della decarbonizzazione in edilizia, ovvero dei benefici che verrebbero ad originare  da un minore utilizzo delle fonti fossili per la produzione di energia, argomento particolarmente in taglio in questo momento storico per il nostro Paese. Le principali evidenze della ricerca.

Perché uno studio sulla decarbonizzazione in edilizia

Il motivo è presto spiegato: per ridurre i consumi di gas e la dipendenza da gas russo fondamentale intervenire sulla prima voce di consumo in Italia, ossia il settore civile, secondo quanto emerge dal documento.

Quale la ricetta per ridurre la dipendenza energetica dall’Est Europa?

per Legambiente e Kyoto Club ciò può essere realizzato secondo due strategie:

  • migliorare l’efficientamento del parco edilizio;
  • elettrificare i consumi per il riscaldamento domestico

Secondo gli Estensori, si tratta della combinazione perfetta per:

  1. ridurre i consumi di gas, e quindi anche la dipendenza da quello russo;
  2. diminuire le emissioni climalteranti migliorando la qualità dell’aria e per alleggerire il costo della bolletta.

Le operazioni da attuare

In particolare, l’Italia dovrebbe:

  • riqualificare ogni anno il 3% del patrimonio edilizio, come prevede la nuova strategia europea Renovation Wave[1];
  • elettrificare i consumi per il riscaldamento domestico puntando sulle pompe di calore.

Il risultato pratico che si otterrebbe sarebbe:

  • una riduzione dei consumi di gas, nel giro di tre anni, ossia al 2025, di oltre 5,4 miliardi di metri cubi all’anno per arrivare al 2030 a ben 12 miliardi di metro cubi, pari al 41% delle importazioni dalla Russia;
  • un risparmio di emissioni di gas climalteranti pari a 22 milioni di tonnellate di C02;
  • un risparmio in bollette per le famiglie.

Inoltre, la riduzione del consumo di gas comporterebbe un ulteriore beneficio, legato alla riduzione degli incidenti che ogni anno avvengono legati al suo consumo. Solo nel 2019, sono stati 270 eventi con 35 decessi.

È quanto emerge in sintesi dal nuovo studio Elemens “Dal Gas alle rinnovabili. Scenari e benefici economici dalla decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento degli edifici” elaborato per Legambiente e Kyoto Club in cui si fa un’analisi sugli effetti che interventi di questo tipo potrebbero e avere su un breve periodo (al 2025) e al 2030 con interventi sul patrimonio edilizio a partire dalle case più energivore (Classe G) e sostituendo i sistemi di riscaldamento domestico a gas con le pompe di calore. In Italia i consumi civili valgono 32 miliardi di metri cubi ogni anno, il 43% di quelli nazionali e contribuiscono in maniera significativa a inquinare le città e a surriscaldare il Pianeta.

Il contesto

L’analisi svolta rileva che in Italia sono 17,5 milioni (su circa 26 milioni) le abitazioni che utilizzano caldaie a gas per il riscaldamento.

Per questi motivi, per Legambiente e Kyoto Club l’Italia può e deve rendere più efficaci le politiche di incentivo per le riqualificazioni edilizie visto che qui è la prima voce dei consumi in Italia – quelli per gli usi civili sono pari a 32 miliardi di metri cubi ogni anno su 76 complessivi – e secondo Enea la riduzione nel 2020 è stata di appena 0,3 miliardi di metri cubi di gas a fronte di 27 miliardi di euro di detrazioni fiscali.

Le proposte Legambiente Kyoto Club

Le soluzioni proposte partono allo stop ai sussidi ambientalmente dannosi, e proseguono con:

  1. riforma dell’econobus[2];
  2. progressiva eliminazione delle agevolazioni IVA e accise su gas entro i prossimi 3 anni[3];
  3. divieto di installazione nei nuovi interventi edilizi (2024) e nelle ristrutturazioni degli interi edifici (2027) nella prospettiva di elettrificazione e diffusione di pompe di calore integrate con fonti rinnovabili.

Gli esempi virtuosi

Nell’ambito della ricerca vengo anche citati tre casi , quello dell’Irlanda, della Francia e del Belgio (e per l’Italia, quello della Regione Sardegna), in cui vengono adottate politiche enegetiche alternative molto efficienti al fine di ridurre la dipendenza.

Per approfondire

Ulteriori approfondimenti sul documento al seguente link: https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2021/11/Dal-gas-alle-rinnovabili_studio-Elemens-2022.pdf

Dall’Irlanda alla Francia e al Belgio, nello studio di Elemens vengono citati anche alcuni esempi di politiche adottate all’estero da cui il nostro Paese potrebbe ispirarsi. Si va dall’Irlanda dove nel febbraio del 2020 è stato approvato un pacchetto per supportare il miglioramento delle classi energetiche degli edifici, con l’obiettivo di riqualificare energeticamente 500.000 case con classe energetica pari ad almeno la classe B2. Il supporto economico consiste nell’erogazione in conto capitale di un incentivo fino al 50% della spesa sostenuta per effettuare gli interventi, in particolare con attenzione alle persone che soffrono di povertà energetica è prevista l’intera copertura dell’intervento. Inoltre, gli interventi che possono avere un impatto maggiore nella riduzione del consumo energetico possono potenzialmente accedere ad un incentivo pari anche fino all’80% della spesa. Il piano prevede una spesa di 8 miliardi di € al 2030.

Altro esempio è rappresentato dalla Francia, che in seguito alla crisi energetica indotta dalla situazione geopolitica, ha deciso di portare a 9.000 € l’incentivo a supporto dell’installazione di pompe di calore In Belgio, il Climate Plan della regione delle Fiandre mira a rendere obbligatorio entro il 2023 la riqualificazione energetica degli edifici acquistati almeno fino alla classe D: questo intervento deve essere effettuato dall’acquirente entro i 5 anni successivi all’acquisto. Inoltre, per i nuovi edifici sarà proibito avere un riscaldamento a gas – se non in conformazione ibrida con pompa di calore – e entro il 2026 diventerà proibita anche la connessione alla rete del gas. Questo piano è sostenuto da agevolazioni fiscali e sussidi nei confronti delle pompe di calore e degli impianti ibridi.

Il caso Sardegna

Tornando in Italia, gli occhi sono tutti puntati sulla Sardegna che potrebbe diventare uno dei laboratori della transizione energetica. Come viene ricordato nello studio, la Sardegna è ad oggi l’unica regione italiana non ancora metanizzata tramite la rete nazionale. Questa condizione deve essere sfruttata come un’opportunità per sperimentare gli effetti delle politiche di elettrificazione, mettendo in abbinamento l’efficientamento degli edifici con una massiva penetrazione della generazione e autoproduzione da rinnovabili, sistemi di accumulo. La Sardegna può puntare ad essere la prima isola green del mediterraneo, puntando su efficienza e rinnovabili, riqualificazione edilizia. L’attenzione posta al tema è confermata dagli esiti del Capacity Market, che vedono come maggiori vincitori in Sardegna gli accumuli elettrici, i quali sono in grado di fornire oggi i medesimi servizi delle centrali fossili.


[1] portandolo da una performance media di consumo di energia finale termica di 136 kWh/m2/anno (media attuale tra residenziale e civile) a circa 50 kWh/m2/anno

[2] Esse ritengono opportuno passare da incentivi legati alle tecnologie al premiare interventi integrati che riducano i fabbisogni energetici degli edifici attraverso i più efficaci interventi di coibentazione, sostituzione di impianti e reti, inserimento di tecnologie per l’autoproduzione da fonti rinnovabili.

[3] Anche tenendo in conto la progressiva decarbonizzazione dei sistemi di riscaldamento degli edifici con l’eliminazione degli incentivi per l’installazione delle caldaie a gas (2023 esclusione dal superbonus 110%, 2026 esclusione dalla detrazione del 50%).

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Climate Analytics: la diminuzione di 1,5 ° C rimane fuori portata

Con uno studio sviluppato sulla base degli annunci effettuati nell’ambito della recente COP26 svolta nella città di Glasgow, mostrano che, in realtà, occorre mantenere cautela sulle stime predisposte. La strada da percorrere è ancora lunga.

Le evidenze dell’indagine

Un recente studio condotto dalla Società USA climate analytics mostra l’esigenza di mantenere parecchia cautela sulle misure che sono state annunciate nel corso della COP26, l’annuale conferenza sul clima, svolta quest’anno nella città di Glasgow (Scozia), cui hanno partecipato i Grandi della Terra, fra cui l’Italia. Prima di vedere quanto emerso dall’analisi, un breve profilo dell’estensore dell’indagine.

Climate Analytics è stata costituita nel 2008 per portare la scienza e l’analisi politica all’avanguardia per affrontare uno dei problemi globali più urgenti del nostro tempo: il cambiamento climatico indotto dall’uomo. Il team si compone di circa 100 persone conta 32 diverse nazionalità.

L’Azienda svolte attività di ricerca sul limite di temperatura di 1,5°C nell’accordo di Parigi e sui rischi e le vulnerabilità che questi paesi devono affrontare, valutando altresì i progressi sull’azione per il clima e come i governi possono agire in base alle loro politiche per mantenere il riscaldamento globale entro questo limite.

In particolare, CA parla di cautele da prendere sulle dichiarazioni effettuato.

In primis, occorre evidenziare che le riduzioni nelle stime relativa al decremento della temperatura al 2100 sono in gran parte il risultato dell’annunciato “impatto climatico zero”, da raggiungere nella UE entro il 2050.

Questo lascia ancora un enorme divario di emissioni nel 2030 e non lo è sufficiente per mantenere 1,5°C a portata di mano.

In un’analisi pubblicata di recente, l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) ha stimato che impegni attuali, molti dei quali non sono inclusi nella legge o nei documenti ufficiali nazionali, darebbe al mondo una probabilità del 50% di limitare il riscaldamento di fine secolo a 1,8°C, con una possibilità su quattro di superare i 2°C.1 Questo non è un percorso compatibile con l’Accordo di Parigi.

Perché il riscaldamento globale è legato direttamente alla somma totale di tutte le emissioni di CO2, ogni anno di un’azione ritardata al 2030 limiterà la nostra capacità di mantenere il riscaldamento a 1,5°C entro il 2100.

Lo scenario di impegni annunciati supera l’intervallo 2030 relativo ai livelli di emissione in percorsi compatibili a 1,5°C con un ampio margine, e continua a farlo fino alla metà del secolo.

Tra oggi e il 2050, il percorso previsto dalla IEA, pari ad una diminuzione di 1,8°C, determinerà l’emissione, in media, di 350 Gt di CO2 in più rispetto a ciò che si osserva nei percorsi di prevenzione e riduzione integrata dell’inquimento del -1,5°C.

Ciò comporterebbe una probabilità superiore al 25% di a livello di riscaldamento di picco superiore a 2°C. Questo non è compatibile con l’obiettivo della temperatura a lungo termine dell’Accordo di Parigi di “mantenere bene l’aumento della temperatura media globale” sotto i 2°C… e proseguendo gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C sopra i livelli preindustriali”

Lo studio di CA realizzato per l’Associazione “A Sud”

Un’altra indagine di CA  mostra invece che il nostro Paese dovrebbe dovrebbe ridurre le emissioni del 92% al 2030, rispetto ai livelli del 1990, sulla base dei princìpi dell’UNFCCC di Equità e Responsabilità comuni ma differenziate. Tale percentuale si ricaverebbe dalla responsabilità storica e attuale del nostro Paese e la sua capacità tecnologica e finanziaria, in conformità ai principi di “Equità” e “Responsabilità comuni ma differenziate”, pilatri della Convenzione ONU sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), contribuendo sensibilmente all’aumento di temperatura del nostro Pianeta che, sarebbe avviato ad un riscaldamento pari a +2,4 °C entro la fine del secolo.

L’attuale obiettivo dell’Italia rappresenta un livello di ambizione così basso che, se altri paesi dovessero seguirlo, porterebbe probabilmente a un riscaldamento globale senza precedenti di oltre 3°C entro la fine del secolo.

Inoltre, il “carbon budget” residuo dell’Italia (quanto il nostro Paese può ancora emettere in termini di gas) tra il 2020 e il 2030, che risulta compatibile con il suo fair share[1] nel perseguimento dell’obiettivo di temperatura a lungo termine dell’Accordo di Parigi, ammonta al massimo a circa 2,09 GtCO2eq. Se gli attuali livelli di emissioni dovessero continuare, già nel 2025 l’Italia esaurirebbe il suo fair share di emissioni rilasciabili nel periodo tra il 2020 e il 2030”.

Nel documento è possibile rinvenire anche considerazioni sul Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), per cui viene evidenziato, come, se pienamente attuato, questo potrebbe consentire una riduzione, al 2030, di solo il 36% in merito alle emissioni di gas serra.

Il divario tra una riduzione delle emissioni per l’Italia che sia compatibile con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi e la riduzione delle emissioni dalle politiche pianificate ammonta a circa 280 MtCO2e nel 2030.

NE segue che è necessario un rapido aumento delle misure di mitigazione e una rapida transizione verso un’economia decarbonizzata.

Inoltre, il nostro Paese potrebbe colmare parte del divario con impegni concreti per aiutare la mitigazione nei Paesi in via di sviluppo, se queste azioni di mitigazione fossero veramente aggiuntive, contribuendo a una mitigazione complessiva delle emissioni globali, senza che queste siano contabilizzate come parte integrante degli obiettivi di riduzione di quei Paesi.

[1] Il metodo che indica quale dovrebbe essere il contributo totale di un Paese per dare un giusto ed equo contributo agli sforzi globali per attuare l’Accordo di Parigi.

Stato del clima: aumenta il surriscaldamento del pianeta

Presentato a Roma il rapporto ISPRA sullo stato e il trend del clima in Italia. Emerge, a livello globale, che l’anno appena trascorso è stato quello più caldo della serie di temperatura media annuale sulla terraferma e il secondo più caldo della serie di temperatura media su terraferma e oceani insieme.

L’evento

E’ stato presentato a Roma, lo scorso 10 novembre il rapporto ISPRA sullo stato e il trend del clima in Italia.

Nel corso del webinar sono stati illustrati i risultati dell’ultimo rapporto “Gli indicatori del clima in Italia”, giunto nel 2021 alla XVI edizione.

Gli obiettivi

Arricchito da una serie di contributi di approfondimento, utili alla comprensione delle tendenze climatiche in atto, da parte delle Agenzie e di altri esperti del settore che collaborano da anni alle attività di climatologia di ISPRA, esso è stato predisposto per:

  • descrivere l’andamento del clima nel 2020;
  • aggiornare la stima delle variazioni climatiche negli ultimi decenni in Italia.

La base dei dati

I dati vengono forniti attraverso il Sistema nazionale per la raccolta, l’elaborazione e la diffusione di dati Climatologici di Interesse Ambientale (SCIA), realizzato dall’ISPRA e alimentato in collaborazione con le ARPA e con altri organismi titolari delle principali reti osservative presenti sul territorio nazionale

Le informazioni di sintesi sono poi trasmesse all’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), contribuendo a comporre il quadro conoscitivo sullo Stato del clima a scala globale.

Le principali evidenze empiriche

Dal rapporto emergono diversi preoccupanti aspetti, che, nel contesto della Conferenza COP26 di Glasgow appena conclusa, richiedono di passare dal “bla bla bla” ad azioni concrete che vadano sensibile a modificare i cicli antropici per modificare una situazione ormai  divenuta insostenibile.

L’aumento della temperatura

Non giova sapere che lo scorso anno abbiamo registrato il livello più elevato in termini della serie di temperatura media annuale sulla terraferma e il secondo più caldo della serie di temperatura media su terraferma e oceani insieme.

Da gennaio a novembre tutte le temperature globali medie mensili si collocano tra i quattro valori più alti dall’inizio delle osservazioni, in particolare i mesi di gennaio, maggio e settembre sono risultati i più caldi delle rispettive serie storiche; dicembre è stato l’ottavo più caldo.

Nel 2020 l’anomalia della temperatura media globale sulla terraferma è stata di +1.44 °C rispetto al periodo 1961-1990.

La temperatura dei mari

Un altro aspetto che evidenzia la linea di confine alla quale siamo giunti è quella della temperatura media superficiale dei mari italiani.

Sempre nel 2020, essa ha stabilito un’anomalia media di +0.95 °C: il dato si colloca al quarto posto dell’intera serie dal 1961.

Nell’arco degli ultimi 22 anni la temperatura media superficiale del mare è stata sempre superiore alla media, ed in particolare nove degli ultimi dieci anni hanno registrato le anomalie positive più elevate di tutta la serie. Nel 2020 le anomalie sono state positive in tutti i mesi dell’anno, con i valori massimi ad agosto (+1.7 °C) e a maggio (+1.4 °C).

Per quanto riguarda il nostro Paese, il 2020 ha costituito il quinto anno più caldo dal 1961, registrando un’anomalia media di +1.54 °C. A partire dal 1985, le anomalie sono state sempre positive, ad eccezione del 1991 e del 1996. Il 2020 è stato il ventiquattresimo anno consecutivo con anomalia positiva rispetto al valore normale; il decennio 2011-2020 è stato il più caldo dal 1961.

Precipitazioni

Da ultimo, qualche dato che riguarda la pioggia sul nostro territorio.

ISPRA rileva che lo scorso anno, è stato il 23° anno meno piovoso dal 1961. Sull’intero territorio nazionale, i mesi mediamente più secchi sono stati gennaio (-75%) e febbraio (-77%), seguiti da novembre, aprile e maggio, mentre dicembre è stato il mese mediamente più piovoso, con un’anomalia di +109%.

Al Nord il mese più piovoso si conferma dicembre, con un picco di anomalia positiva di +182%, seguito da ottobre (+69%) e giugno (+50%); anche al Centro il mese più piovoso si conferma dicembre, con un picco di anomalia positiva di +92%, seguito da giugno (+45%); al Sud e Isole i mesi relativamente più piovosi sono stati settembre (+67%) e luglio (+58%). Novembre è stato il mese più secco al Nord (-85%), gennaio al Centro (-69%) e al Sud e Isole (-78%).

Anche nel 2020 non sono mancati eventi di precipitazione intensa. I valori più elevati di precipitazione giornaliera sono stati registrati in occasione dell’evento alluvionale di inizio ottobre.

In un’ampia zona del Piemonte settentrionale, il 2 ottobre sono state registrate precipitazioni cumulate giornaliere comprese fra 400 e 500 mm; nella parte occidentale della Liguria e all’estremo confine meridionale del Piemonte si sono superati localmente i 350 mm di precipitazione.

Indici climatici rappresentativi delle condizioni di siccità: valori elevati del numero di giorni asciutti, superiori a 300 giorni, si registrano in diverse aree del territorio nazionale, con punte di 341 giorni a Pescara e a Capo Carbonara (SU).

Il numero massimo di giorni asciutti consecutivi nell’anno ha raggiunto i valori più alti in Sardegna ed in Sicilia (fino a 90 giorni secchi consecutivi) e i valori più bassi sulla dorsale appenninica e su Alpi e Prealpi (fino a 20 giorni).

Per maggiori informazioni

Le presentazioni della giornata di lavoro:

9 – Stato maggiore aeronautica

8 – La sicilia

7- Il 2020 in ER

6 – Il caso Piemonte

5- Il caldo inverno di Milano

4- Eventi estremi ITA

3 – ARPAE – indicatori clima

2- Protezione civile

1 – ARPA Piemonte

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