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ISTAT: i cambiamenti climatici sono la prima preoccupazione dei cittadini

E’ quanto emerge dall’indagine riguardante “Aspetti della vita quotidiana”, prodotto da ISTAT con cadenza annuale. Vediamo cosa pensano i cittadini a riguardo delle tematiche ambientale.

Il report

L’Istat rileva la percezione dei cittadini rispetto alle tematiche ambientali, a partire dal 1998, e con continuità tra il 2012 e il 2022, nel contesto dell’indagine multiscopo “Aspetti della vita quotidiana”.

Negli ultimi anni tale quadro informativo è stato ampliato introducendo una batteria di quesiti relativi ai comportamenti ecocompatibili.

I comportamenti della popolazione, gli stili di vita, le opinioni e gli atteggiamenti che li condizionano hanno un grande impatto sulla sostenibilità ambientale.

Lo studio di tali comportamenti, che assume rilevanza in termini di sostenibilità ambientale, benessere sociale e qualità della vita, genera un set informativo a disposizione delle scelte di politica ambientale.

Nel 2022 i cambiamenti climatici si confermano al primo posto tra le preoccupazioni per l’ambiente: così si esprime oltre la metà della popolazione di 14 anni e più (56,7%).

Seguono i problemi legati all’inquinamento dell’aria, avvertiti dal 50,2%.

Al terzo posto, leggermente distaccata, si colloca la preoccupazione per lo smaltimento e la produzione dei rifiuti (40,0% delle persone di 14 anni e più). L’inquinamento delle acque (38,1%), l’effetto serra e il buco nell’ozono (37,6%) sono percepiti come ulteriori fattori di rischio ambientale a livello globale. Gli altri problemi ambientali preoccupano meno di tre persone su dieci; in fondo alla graduatoria vi sono le preoccupazioni che coinvolgono una quota ristretta di persone (circa 1 persona su 10), come l’inquinamento elettromagnetico, le conseguenze del rumore sulla salute e la rovina del paesaggio.

Quest’ultima è una preoccupazione in crescita nelle regioni del Nord ed è percepita in maniera più forte nelle regioni a vocazione turistica, ad esempio in Trentino-Alto Adige, oppure in regioni industrializzate come la Lombardia.

Le principali evidenze in sintesi

Prevale la preoccupazione  per i cambiamenti climatici  e la qualità dell’aria

Sale la preoccupazione per i cambiamenti climatici (56,7% rispetto al 52,2 nel 2021), stabile quella per l’inquinamento dell’aria. Sono i due temi ambientali che preoccupano oltre il 50% dei cittadini nel 2022. Seguono lo smaltimento dei rifiuti e l’inquinamento acqua (intorno al 40%)    

Qualità dell’aria problema costante degli ultimi venti anni

Nel 2022 oltre la metà dei cittadini esprime preoccupazione per la qualità dell’aria, quota pressoché stabile dal 1998 (primo anno di rilevazione).

Cresce  la preoccupazione  per l’effetto serra

Nel 2022 l’effetto serra preoccupa il 37,6% delle persone di 14 anni e più, contro il 34,9% del 2021.

Rumore, inquinamento elettromagnetico  e deterioramento del paesaggio  i problemi meno sentiti

Oscilla tra il 10% e il 12% la percentuale di persone che considerano l’inquinamento acustico, quello elettromagnetico e il deterioramento del paesaggio tra le prime cinque preoccupazioni per l’ambiente.

Forte attenzione  alla conservazione delle risorse naturali

I cittadini sono molto attenti alla conservazione delle risorse naturali. Nel 2022 cresce, assestandosi al 69,8%, la quota di quanti fanno abitualmente attenzione a non sprecare energia. In crescita anche quanti sono attenti a non sprecare acqua: il 67,6% contro il 65% del 2021.   

Comportamenti polarizzati  tra nord e sud  del paese

Nel Mezzogiorno si è più propensi a non usare prodotti usa e getta (25,2% delle persone di 14 anni e più nel 2022) e ad acquistare prodotti a chilometro zero (26,9%). Al Nord si evita soprattutto la guida rumorosa per mitigare l’inquinamento acustico (52,3%) e si usano di più i mezzi di trasporto alternativi (19,8%).

CONOU: pubblicato il rapporto sostenibilità 2022

Incremento della raccolta degli oli usati: è questa una delle principali evidenze che emerge dal Rapporto di sostenibilità 2022 del CONOU, il consorzio che si occupa di avviare a recupero gli oli lubrificanti usati da rifiuti, e convertirli in risorse.

CONOU: di cosa si tratta

Il CONOU, Consorzio Nazionale degli Oli Minerali Usati, è un’eccellenza dell’economia circolare italiana che trasforma gli oli lubrificanti usati da rifiuti a risorse.

Il Consorzio è un modello all’avanguardia in campo internazionale: in Europa si avvia a rigenerazione una quota pari solamente al 60% dell’olio lubrificante usato raccolto, mentre in Italia questo rapporto arriva a circa il 99% e il processo è capace di garantire diversi benefici quali:

  • minori emissioni di CO2;
  • ridotto consumo d’acqua e di suolo;
  • costi inferiori nella bolletta energetica.

Cosa emerge dal rapporto di sostenibilità 2022

Redatto sulla base delle evidenze empiriche mostrate nel 2022, il Rapporto fornisce alcuni segnali positivi sul mercato: infatti, nonostante il mercato dei lubrificanti sia in flessione rispetto all’anno precedente (-5%), la raccolta ha registrato, rispetto al 2021, oltre 181 mila tonnellate, con una riduzione del 2,6% vs il 2021. Un  dato, questo, da correggere, rispetto alle serie storiche, per tenere conto della riduzione conseguita dalla Filiera nel tenore di acqua; a parità di contenuto di acqua, la riduzione risulta pari all’2,1%, dando conferma della attenzione e continuità di azione delle nostre Imprese di raccolta.

Si tratta di un superamento della situazione originata dall’“annus horribilis” della Pandemia – come sottolinea il Presidente, Riccardo Piunti – lasciando in eredita le crisi, tuttora vive, di guerra, pandemia, energia, carenza di materie prime, rallentamento economico.

Il Consorzio e stato e resta in prima fila a testimoniare, con l’eccellenza dell’Economia Circolare, dell’olio usato, quale sia la strada giusta di fronte a questa minaccia, quanto debbano accelerarsi gli sforzi nella direzione delle energie rinnovabili e della Circolarità, quanto ciò sia possibile e reale e non solo teoria

La struttura del rapporto

Il rapporto evidenzia i risultati raggiunti dal Consorzio in ambito economico, sociale e ambientale, redatto in conformità agli Standard GRI.

Le principali evidenze

Questo, in sintesi, l’insieme di dati che esibisce la forza del Consorzio:

  • 2 imprese di rigenerazione;
  • 3 impianti di rigenerazione;
  • 60 concessionari;
  • 181.000 tonnellate di olio usati raccolti nel sistema Consortile;
  • 178.000 tonnellate di olio usati avviati a rigenerazione;
  • 0,2 tonnellate di olio usati avviati a termodistruzione;
  • 656 automezzi dei concessionari;
  • Oltre il 98% di olio usato avviato a rigenerazione;
  • 2,9000 tonnellate di olio usati a via del recupero;
  • 22 milioni di chilometri percorsi agli automezzi per la raccolta e il conferimento;
  • 443 addetti lungo la filiera.
Presentato a Roma il Rapporto Green Italy 2022

In aumento i contratti green e gli eco-investimenti realizzati dalle nostre Imprese nel 2021. Queste sono alcune delle principali evidenze emerse dal Rapporto Green Italy, realizzato con il compito di illustrare, annualmente, lo stato dell’arte dell’Economia verde nel nostro Paese. Di cosa si tratta e i principali risultati emersi dall’indagine svolta sull’anno 2021.

Di cosa si tratta

Rappresenta un rapporto, sviluppato con cadenza annuale, riguardante la consistenza dell’economia verde nel nostro paese, realizzato con l’obiettivo di evidenziare come l’Italia sia in grado di cogliere le grandi sfide ambientali puntando su innovazione e ricerca, sviluppando il valore economico delle imprese e del Paese.

La prima edizione è stata realizzata nel 2010 e fornisce numeri, territori e settori dell’economia green italiana, al fine di comprendere se, e come, il Made in Italy green può ricoprire un ruolo di protagonista nel mercato internazionale puntando sulla sostenibilità.

Le principali evidenze

Nel 2021 si stima che le attivazioni di contratti green siano state superiori a 1.600 mila unità pari al 34,5% della totalità dei contratti attivati (+443 mila unità). Nel quinquennio 2017-2021, più di 1 impresa su 3 ha effettuato eco-investimenti, 2 imprese su 5 nell’industria manifatturiera, e da sottolineare come la forte crescita degli investimenti delle imprese nelle aree in ritardo (Centro e Mezzogiorno) ha di fatto ridotto gli squilibri territoriali rilevati nelle precedenti indagini.

L’Eco-Innovation Index si prefigge di cogliere i diversi aspetti dell’eco-innovazione. È un indice composito che si sviluppa in 5 dimensioni: 1) input dell’eco-innovazione; 2) attività di eco-innovazione; 3) output dell’eco-innovazione; 4) efficienza delle risorse; 5) risultati socio-economicii.

Secondo questo indice, il posizionamento dell’Italia è ottimale e il punto di forza del nostro Paese viene rappresentato dall’uso efficiente delle risorse: nel quinquennio 2017-2021 più di una impresa su tre ha investito nel green.

Un altro primato italiano viene inoltre costituito dal tasso di riciclo, ovvero di recupero come materia, sulla totalità dei rifiuti, pari all’83,4%, superiore a quello della Germania (70%), Francia (64,5%),  e Spagna (65,3%); sotto questo profilo, la media fatta registrare dai Paesi UE è pari al 53,8%.

Un risultato che determina una riduzione annuale delle emissioni pari a 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 63 milioni di tonnellate equivalenti di CO2. Cresce nel 2020-2021 anche l’impiego di materia seconda nei settori industriali italiani. L’esempio di maggior rilievo è quello del cartario, settore con una grande tradizione nel riciclo manifatturiero, che nel 2021 ha visto crescere l’impiego di macero al 62,9%, il massimo storico.

Sul tema delle energie rinnovabili, Fondazione Symbola evidenzia come In Italia, viviamo un paradosso: da un lato la disponibilità degli operatori economici ad investire (a fine agosto 2021, le richieste di connessione alla rete di Terna erano pari a 280 GW, quattro volte gli obiettivi che l’Italia si è data al 2030); dall’altra l’estrema lentezza dell’amministrazione pubblica (vedi il ritardo nell’emanazione dei decreti attuativi sulle comunità energetiche rinnovabili o ai tempi autorizzativi e alle opposizioni locali che rallentano l’istallazione di impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili).

Per approfondimenti

Consultare il rapporto green Italy 2022:

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Rapporto Italia Solare: siamo in ritardo con le installazioni del fotovoltaico

È quanto emerge dal consueto rapporto elaborato da Italia Solare, che illustra l’evoluzione delle connessioni fotovoltaiche in Italia, sulla base dei dati resi disponibili da Terna. L’obiettivo è quello di mostrare l’evoluzione delle connessioni fotovoltaiche in Italia. Vediamo le principali evidenze del Report.

Che cos’è Italia Solare

Si tratta di un’associazione di promozione sociale che sostiene la difesa dell’ambiente e della salute umana supportando modalità intelligenti e sostenibili di produzione, stoccaggio, gestione e distribuzione dell’energia attraverso la generazione distribuita da fonti rinnovabili, in particolare fotovoltaico.

Con lo svolgimento delle attività associative, vengono promossi, inoltre, la loro integrazione con le smart grid, la mobilità elettrica e con le tecnologie per l’efficienza energetica che incrementano le prestazioni energetiche degli edifici.

I dati

Le fonti

Innanzitutto, i dati sono acquisiti attraverso il sistema GAUDI’, gestito da TERNA, che rappresenta la principale base informativa del rapporto, e le elaborazioni fanno riferimento ai primi 6 mesi del 2022.

I dati regionali

Tra le città che hanno installato il maggior quantitativo di nuova potenza fotovoltaica nel periodo in esame, spicca la posizione di Viterbo.

Nei primi 6 mesi del 2022, in Città è stato realizzato un insieme di impianti della tipologia in esame, per un valore pari a 104 nuovi MW[1].

 

La potenza installata

A livello l’incremento della potenza installata relativa agli impianti solari fotovoltaici si evidenzia un miglioramento, poiché nei primi sei mesi dell’anno sono stati installati 1000 nuovi MW di fotovoltaico.

Si tratta di un dato in crescita, sebbene Italia solare faccia presente che il dato non rappresenta, sotto questo profilo, il massimo incremento, essendo lontani gli incrementi fatti registrare nell’anno 2011.

Nei primi sei mesi dell’anno sono stati installati 1000 nuovi MW di fotovoltaico. Il trend è in miglioramento ma sono lontani i MW del 2011. Tuttavia, essi rappresentano più del doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso[2].

Il livello di potenza cumulata

La potenza complessiva installata in assoluto giunge tocca la soglia dei 629 MWh: così facendo, viene superata quella installata complessivamente lo scorso anno.

Nel complesso, dunque, i dati sono in crescita ma – sottolinea Italia Solare – “evidenziano un netto ritardo rispetto alle previsioni di sviluppo nazionali, sia per il fotovoltaico sia per i sistemi di accumulo”.

Per maggiori informazioni

Report Italia solare, disponibile al seguente link:

https://is.italiasolare.eu/data/report/abstract/q2-22-fv_gaudi-_abstract.pdf


[1] Nella classifica delle città italiane che hanno installato i minori quantitativi, si registrano la città di Isernia e di Trieste, con potenza complessiva installata inferiore a 1MW.

[2] In particolare, la potenza cumulata ha raggiunto i 23.577 MW nel 2022, mentre il numero di impianti ha superato il milione (1.087.190).

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Settore igiene urbana: 50.628 imprese operative, per un valore della produzione pari a circa 167 miliardi di euro

È il dato che emerge da Green Book, la monografia completa del settore rifiuti urbani in Italia, rilasciata recentemente dalla Fondazione Utilitatis.

La struttura del report

Il report viene articolato in varie sezioni, ognuna delle quali viene dedicata ad aspetti specifici del settore indagato, quello ambientale, con riferimento a:

  • contesto normativo di riferimento;
  • aspetti di governance locale e gestionali;
  • risultati conseguiti dagli operatori del comparto sotto il profilo economico e patrimoniale,
  • spesa sostenuta dalle utenze finali destinatarie del servizio di igiene urbana;
  • analisi degli affidamenti di tali servizi.

ISPRA ha fornito un apporto in termini di dati all’edizione 2022 del Green Book, mediante:

  • un’analisi delle esportazioni e importazioni di rifiuti urbani e speciali;
  • un focus sul ruolo dell’innovazione tecnologica nel settore, con particolare riferimento alla filiera della plastica[1].

I punti focali del documento

Diversi gli aspetti significativi che emergono:

Il nuovo piano d’azione sull’economia circolare UE

Nel marzo del 2020 il Parlamento europeo ha votato il nuovo Piano d’azione per l’economia circolare.

Con esso vengono richieste agli Stati membri:

  • misure aggiuntive per sviluppare un sistema economico e sociale pienamente circolare entro il 2050;
  • ovvero la realizzazione di un sistema fondato sul riciclo.

Tale modello prevede che:

  • la produzione di rifiuti venga ridotta al minimo;
  • venga utilizzata maggiormente la pratica del riutilizzo come una risorsa.

Si rileva che, in merito al raggiungimento di tali obiettivi, il quadro europeo mostra una situazione piuttosto eterogenea, con Paesi a differenti velocità.

Incremento della quota della preparazione al riutilizzo e del riciclaggio dei rifiuti urbani

La normativa di riferimento comunitaria sul punto, contenuta nella c.d. “Direttiva quadro”, la 2008/98/CE prevedeva, entro il 2020, una percentuale di riciclo dei rifiuti urbani pari ad almeno il 50%, in termini di peso della preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti provenienti dai nuclei domestici (quali carta, metalli, plastica e vetro).

E nel 2020, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti urbani è arrivata a quota 54,4% raggiugendo l’obiettivo europeo (ISPRA).

Italia: nel 2020 impiegati 95.000 addetti nel settore per 50.000 imprese circa

Nella comunità europea sono attive 50.628 imprese nel 2019. Il valore della produzione risulta pari a circa 167 miliardi di euro. In dettaglio, nel 2020, in Italia, il settore ha registrato 13,9 miliardi di euro di valore della produzione in linea con gli altri anni (circa lo 0,8% del PIL) e occupato oltre 95.000 addetti diretti (1,6% del comparto industria).

Si rileva deficit impiantistico nelle regioni del centro-sud

Il rapporto mette in evidenza una realtà purtroppo consolidata: nel nostro Paese, le regioni centro meridionali presentano ancora un deficit impiantistico importante, che non consente la chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti. In questo senso, il PNRR fornisce concrete opportunità per ridurre il service divide che distingue il territorio italiano, grazie a possibili investimenti mirati a migliorare i sistemi di raccolta e gestione dei rifiuti. A questo si aggiunge che nel 2022 è stata pubblicata dal MITE la proposta di Programma nazionale di gestione dei rifiuti (PNGR), che costituisce una delle riforme strutturali per l’attuazione del PNRR.

Inoltre, sul piano generale, il deficit impiantistico contribuisce al differenziale di spesa per il servizio di igiene urbana tra le varie macroaree del Paese, a causa del maggiore costo sostenuto per il trasporto dei rifiuti verso impianti fuori regione: difatti nel 2020 la TARI al Sud ha raggiunto mediamente un costo di 359 euro, al Centro di 334 euro e al Nord di 282 euro.

Nella UE non vi è uno schema univoco per la gestione dei rifiuti

L’analisi dei sistemi di governance e degli schemi amministrativi adottati dai singoli Stati membri dell’Unione europea, non sembra individuare ancora soluzioni univoche per una efficace gestione del ciclo dei rifiuti. In Italia, il processo di attuazione della governance locale rimane ancora incompleto in molte Regioni. Ad oggi solo in 12 Regioni gli EGA risultano operativi in tutti gli ATO previsti, mentre nelle restanti aree si osservano situazioni di parziale operatività o totale inoperatività. Laddove gli EGA non risultano operativi, i Comuni rappresentano gli enti territorialmente competenti.

In Italia abbiamo 7.000 Gestori tra Enti locali ed Aziende

Il comparto in Italia si conferma caratterizzato da un’alta frammentazione verticale e orizzontale della gestione. Oggi risultano attivi più di 7.000 gestori (enti locali e aziende) di cui il 70% eroga una sola attività, mentre il ciclo integrato è svolto da appena il 2,4% dei gestori, ovvero circa 170 soggetti (dati ARERA).

Bandi di gara: nella grande parte dei casi l’affidamento avviene nei confronti di un solo Comune

Utilitatis, mendiante il proprio Osservatorio, ha provveduto ad analizzare un panel di 2.092 bandi per l’affidamento dei servizi di gestione dei rifiuti urbani, espletati dal 2014 al 2021, da cui emerge, fra le altre cose, che l’85% di essi prevede l’affidamento del servizio per un solo Comune, e ha una durata inferiore ai 5 anni.

10,3 e i 12,6 miliardi di euro le entrate tariffarie del servizio integrato di igiene ambientale assoggettate a regolazione ARERA

Si tratta di una stima che emerge dall’analisi delle ricadute, in termini finanziari, dovute all’applicazione del secondo periodo di regolamentazione tariffaria sul settore rifiuti realizzato da ARERA mediante al Delibera n. 363 del 3 Agosto 2021 (c.d. “MTR2”), con il quale vengono definisce i criteri per le tariffe di accesso agli impianti di trattamento e smaltimento, cui si aggiunge l’emanazione del Testo unico per la regolazione della qualità del servizio di gestione dei rifiuti urbani (TQRIF) si configura un quadro unico sulla qualità ambientale del servizio,  qualità contrattuale e qualità tecnica. Una prima stima individua tra i 10,3 e i 12,6 miliardi di euro le entrate tariffarie del servizio integrato di igiene ambientale assoggettate a regolazione.

Le delibere dei piani economici finanziari (PEF) approvati per il 2020 da ARERA mostrano incrementi non superiori al 2% per il 45% delle predisposizioni, mentre nei restanti casi gli incrementi più elevati adottati dagli Enti territorialmente competenti (ETC) manifestano la dinamicità del settore in termini di variazione del

perimetro del servizio e miglioramento della qualità.


[1] La sezione curata da ISPRA fornisce informazioni relative ai flussi transfrontalieri di rifiuti urbani e speciali per il biennio 2019-2020. Nel 2020, sono stati esportati oltre 4,2 milioni di tonnellate di rifiuti (4,4 milioni nel 2019) a fronte di un’importazione di circa 7 milioni di tonnellate (nel 2019 erano 7,2 milioni). Dall’analisi si evince che i rifiuti urbani importati in Italia sono destinati totalmente al recupero di materia, mentre oltre il 36% di quelli esportati è destinato a recupero energetico.

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Rilasciato il Rapporto rifiuti urbani ISPRA

Lo scorso dicembre, prima della sosta per le vacanze natalizie, ISPRA ha rilasciato il consueto rapporto rifiuti urbani, giunto all’edizione, e riferito ai dati dell’anno 2020. Vediamo le principali statistiche descrittive relative a produzione, raccolta differenziata e forme di gestione dei rifiuti prodotti in ambito urbano.

Il contenuto del Rapporto

Il Rapporto è frutto di una complessa attività di raccolta, analisi ed elaborazione di dati da parte del Centro Nazionale dei Rifiuti e dell’Economia Circolare dell’ISPRA[1].

ISPRA mira a fornire un quadro di informazioni oggettivo, puntuale e sempre aggiornato di supporto al Legislatore per orientare politiche e interventi adeguati, per monitorarne l’efficacia, introducendo, se necessario, eventuali misure correttive.

In particolare, l’ultima edizione conferma la struttura ed il contenuto delle più recenti edizioni, contenendo i dati riguardanti la produzione, la raccolta differenziata, le modalità di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di imballaggio, compreso l’import/export, a livello nazionale, regionale e provinciale, ed include, altresì, le informazioni sul monitoraggio dell’ISPRA sui costi dei servizi di igiene urbana e sull’applicazione del sistema tariffario.

Infine, presenta una ricognizione dello stato di attuazione della pianificazione territoriale aggiornata all’anno 2021.

Le principali evidenze

Scendendo nel dettaglio delle evidenze empiriche, dalle analisi condotte dall’Istituto emerge quanto segue.

Produzione

Va da sé che i dati sui rifiuti urbani relativi al 2020 sono fortemente influenzati dall’emergenza sanitaria da Covid-19 che ha segnato il contesto socioeconomico nazionale.

Come da stime ISPRA condotte a inizio pandemia, la produzione dei rifiuti fa, infatti, registrare un calo superiore a un milione di tonnellate a causa delle misure di restrizione adottate e delle chiusure di diverse tipologie di esercizi commerciali.

Il dato 2020 relativo alla produzione complessiva si attesta a 28,9 milioni di tonnellate, in calo del 3,6% rispetto al 2019.

Raccolta differenziata

Il combinato disposto tra testo unico ambientale (TUA, D.Lgs. n. 152/2006 e L. n. 296/2006) ha determinato taluni obiettivi di raccolta differenziata, ed in particolare occorre raggiungere almeno:

  • il 35% entro il 31 dicembre 2006;
  • il 40% entro il 31 dicembre 2007;
  • il 45% entro il 31 dicembre 2008;
  • il 50% entro il 31 dicembre 2009;
  • il 60% entro il 31 dicembre 2011;
  • almeno il 65% entro il 31 dicembre 2012[2].

Nel 2020, la percentuale di raccolta differenziata (RD) è pari al63% della produzione nazionale, con una crescita di 1,8punti percentuali rispetto al 2019

In valore assoluto, la raccolta differenziata mostra una leggera contrazione, da 18,4 milioni di tonnellate a 18,2 milioni di tonnellate. Il calo registrato risulta, tuttavia, decisamente meno marcato di quello rilevato per i quantitativi prodotti: -0,8% per la raccolta differenziata contro -3,6% (1,1 milioni di tonnellate) della

produzione di rifiuti urbani.

Nonostante l’emergenza sanitaria da Covid-19 abbia influito significativamente sui consumi nazionali e di conseguenza sulla produzione dei rifiuti, il sistema di gestione delle raccolte differenziate ha, quindi, garantito l’intercettazione dei flussi di rifiuti presso tutte le tipologie di utenze. Va rilevato, inoltre, che proprio le regioni maggiormente colpite dall’emergenza, ove sono state disposte specifiche ordinanze per il conferimento dei rifiuti nell’indifferenziato, hanno saputo adottare misure efficienti di gestione assicurando il ritiro di tutti i rifiuti.

Si segnala che il dato di raccolta differenziata ricomprende, laddove disponibili, i quantitativi  di rifiuti organici destinati a compostaggio domestico, pari a 275 mila tonnellate nel 2020.

 Nel Nord, la raccolta complessiva si attesta a 9,8 milioni di tonnellate, nel Centro a circa 3,6 milioni di tonnellate e nel Sud a quasi 4,8 milioni di tonnellate. Tali valori si traducono in  percentuali, calcolate rispetto alla produzione totale dei rifiuti urbani di ciascuna macroarea, pari al 70,8% per le regioni settentrionali, al

59,2% per quelle del Centro e al 53,6% per le regioni del Mezzogiorno.

Rispetto al 2019, tutte le macroaree geografiche mostrano incrementi nelle percentuali di raccolta differenziata: la percentuale delle regioni del Mezzogiorno cresce di 2,9 punti, quella delle regioni centrali di 1,4 punti e quella delle regioni del Nord di 1,2 punti.

La raccolta pro capite nazionale è di 308 chilogrammi per abitante per anno, con valori di 359 chilogrammi per abitante nel Nord (-4 chilogrammi per abitante rispetto al 2019), 310 chilogrammi per abitante nel Centro (-8 chilogrammi) e 237 chilogrammi per abitante nel Sud (+8,6chilogrammi).

Con riferimento al triennio 2018-2020, si rileva un incremento di 27 chilogrammi per abitante nelle regioni del Sud, di 9 chilogrammi in quelle del centro Italia, e di quasi 8 chilogrammi nel Nord.

Su scala nazionale la raccolta differenziata pro capite fa segnare una crescita di circa 15 chilogrammi per abitante.

Le forme di gestione

Gli impianti di gestione[3]  dei rifiuti urbani, operativi nel 2020, sono 673, ed in particolare:

359 sono dedicati al trattamento della frazione organica della raccolta differenziata (293 impianti di compostaggio, 43 impianti per il trattamento integrato aerobico /anaerobico e 23 impianti di digestione anaerobica);

132 sono impianti per il trattamento meccanico o meccanico biologico;

131 sono impianti di discarica;

37 impianti di incenerimento;

14 impianti industriali che effettuano il coincenerimento dei rifiuti urbani.

Nel 2020 i rifiuti smaltiti in discarica senza essere stati sottoposti ad un trattamento preventivo sono stati circa 367 mila tonnellate, circa 79 mila tonnellate in più del 2019 nonostante la riduzione complessivamente registrata nello smaltimento in discarca (-8%), anche a causa delle disposizioni  introdotte a seguito della pandemia che hanno previsto, tramite le ordinanze ex art. 191 del d.lgs. n. 152 del 2006, la possibilità di smaltire i rifiuti urbani provenienti dalle zone maggiormente colpite, in deroga all’obbligo di pretrattamento previsto dall’art. 7 d.lgs.36/3003.

Gli impianti di TMB hanno trattato, nel 2020, circa 7,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani indifferenziati (identificati con il codice CER 200301), oltre 226 mila tonnellate di altre frazioni merceologiche di rifiuti urbani, circa 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti provenienti dal trattamento dei rifiuti urbani (identificati con i codici del capitolo 19) e quasi 231 mila tonnellate di altre tipologie di rifiuti speciali.

L’analisi dei dati evidenzia che lo smaltimento in discarica interessa il 20% dei rifiuti urbani prodotti. Agli impianti di recupero di materia per il trattamento delle raccolte differenziate viene inviato, nel suo complesso, il 51% dei rifiuti prodotti: il 23% agli impianti che recuperano la frazione organica da RD (umido + verde) e oltre il 28% agli impianti di recupero delle altre frazioni merceologiche della raccolta differenziata. Il 18% dei rifiuti urbani prodotti è incenerito, mentre l’1% viene inviato ad impianti produttivi, quali i cementifici, centrali termoelettriche, ecc., per essere utilizzato all’interno del ciclo produttivo per produrre energia; l’1% viene utilizzato, dopo adeguato trattamento, per la ricopertura delle discariche, il 5%, costituito da rifiuti derivanti dagli impianti TMB, viene inviato a ulteriori trattamenti quali la raffinazione per la produzione di CSS o la biostabilizzazione, il 2% è esportato (514 mila tonnellate) e l’1% viene gestito direttamente dai cittadini attraverso il compostaggio domestico (275 mila tonnellate). Infine, nella voce “altro” (1%), sono incluse le quantità di rifiuti che rimangono in giacenza alla fine dell’anno presso gli impianti di trattamento, le perdite di processo, nonché i rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento meccanico biologico la cui destinazione non è desumibile dalla banca dati MUD. In merito al dato rilevato per le esportazioni (2%) è necessario precisare che non include i materiali esportati dopo operazioni di recupero a seguito delle quali gli stessi sono qualificati come prodotti o materie prime secondarie.

Per ulteriori informazioni

Cliccare qui: https://www.isprambiente.gov.it/files2021/pubblicazioni/rapporti/rapportorifiutiurbani_ed-2021-n-355conappendice-2.pdf


[1] La realizzazione del rapporto risponde ad  uno specifico compito istituzionale prescritto dal Testo Unico Ambientale (Art. 189 del D.lgs. n.152/2006).

[2] Si sottolinea come la vigente Direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE affianca agli obiettivi di raccolta previsti dalla normativa italiana target di preparazione per il riutilizzo e riciclaggio per specifici flussi di rifiuti quali i rifiuti urbani e i rifiuti da attività di costruzione e demolizione. Nel caso dei primi, in particolare, la direttiva quadro ha inizialmente previsto che he, entro il 2020, la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio di rifiuti quali, come minimo, carta, metalli, plastica e vetro provenienti dai nuclei domestici, e possibilmente di altra origine, nella misura in cui tali flussi di rifiuti sono simili a quelli domestici, siano aumentatati complessivamente almeno al 50% in termini di peso. La direttiva è stata, successivamente, ampiamente modificata dalla direttiva 2018/851/UE, che ha aggiunto ulteriori obiettivi per la preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio, da conseguirsi entro il 2025 (55%), 2030 (60%) e 2035 (65%). Tali nuovi obiettivi sono stati recepiti, nell’ordinamento nazionale, dal decreto legislativo 3 settembre 2020, n.116 che ha modificato l’articolo 181 del d.lgs. n. 152/2006. Le modalità di calcolo di questi obiettivi sono riportate all’articolo 11 bis della direttiva 2008/98/CE così come modificata dalla direttiva 2018/851/UE e più dettagliatamente esplicitate nella decisione di esecuzione 2019/1004/UE. Nell’ordinamento nazionale, le regole per il calcolo degli obiettivi sono individuate all’articolo 205–bis del d.lgs. 152/2006.

[3] E’ opportuno chiarire la metodologia ISPRA riguardante l’analisi dei dati relativi alla gestione dei rifiuti urbani. Infatti essa include anche i rifiuti identificati con i codici 191212 (altri rifiuti compresi i materiali misti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti), 191210 (rifiuti combustibili – CSS), 190501 (parte di rifiuti urbani e simili non compostata), 190503 (compost fuori specifica) e 190599 (rifiuti provenienti dal trattamento aerobico dei rifiuti non specificati altrimenti) che, seppur classificati come speciali a seguito di operazioni di trattamento che ne modificano la natura e la composizione chimica, sono di origine urbana. Tale scelta è giustificata dal disposto dell’art. 182-bis del d.lgs. n. 152/2006 che prevede la realizzazione dell’autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento attraverso la realizzazione di una rete impiantistica integrata nell’ambito territoriale ottimale. La principale criticità nell’analisi di tali flussi di rifiuti consiste nella loro movimentazione verso destinazioni extraregionali che rende particolarmente complicato seguirne il percorso dalla produzione alla destinazione finale. Inoltre, i rifiuti urbani avviati a forme di trattamento di tipo meccanico biologico intermedie prima di una destinazione definitiva di recupero o smaltimento rappresentano, nel 2020, il 31% dei rifiuti urbani prodotti. Pertanto, sulla scorta di tale premessa, ISPRA provvede a contabilizzare questi rifiuti per chiudere il ciclo della gestione dei rifiuti urbani. Il trattamento meccanico biologico è, infatti, diffusamente utilizzato come forma di pretrattamento allo smaltimento in discarica o all’incenerimento con lo scopo, da una parte, di garantire le condizioni di stabilità biologica riducendo l’umidità e il volume dei rifiuti, dall’altra di incrementare il loro potere calorifico per rendere più efficiente il processo di combustione. Nel 2020 il 93,7% dei rifiuti urbani smaltiti in discarica e il 50% di quelli inceneriti sono stati sottoposti a trattamento preliminare.

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Stato del clima: aumenta il surriscaldamento del pianeta

Presentato a Roma il rapporto ISPRA sullo stato e il trend del clima in Italia. Emerge, a livello globale, che l’anno appena trascorso è stato quello più caldo della serie di temperatura media annuale sulla terraferma e il secondo più caldo della serie di temperatura media su terraferma e oceani insieme.

L’evento

E’ stato presentato a Roma, lo scorso 10 novembre il rapporto ISPRA sullo stato e il trend del clima in Italia.

Nel corso del webinar sono stati illustrati i risultati dell’ultimo rapporto “Gli indicatori del clima in Italia”, giunto nel 2021 alla XVI edizione.

Gli obiettivi

Arricchito da una serie di contributi di approfondimento, utili alla comprensione delle tendenze climatiche in atto, da parte delle Agenzie e di altri esperti del settore che collaborano da anni alle attività di climatologia di ISPRA, esso è stato predisposto per:

  • descrivere l’andamento del clima nel 2020;
  • aggiornare la stima delle variazioni climatiche negli ultimi decenni in Italia.

La base dei dati

I dati vengono forniti attraverso il Sistema nazionale per la raccolta, l’elaborazione e la diffusione di dati Climatologici di Interesse Ambientale (SCIA), realizzato dall’ISPRA e alimentato in collaborazione con le ARPA e con altri organismi titolari delle principali reti osservative presenti sul territorio nazionale

Le informazioni di sintesi sono poi trasmesse all’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO), contribuendo a comporre il quadro conoscitivo sullo Stato del clima a scala globale.

Le principali evidenze empiriche

Dal rapporto emergono diversi preoccupanti aspetti, che, nel contesto della Conferenza COP26 di Glasgow appena conclusa, richiedono di passare dal “bla bla bla” ad azioni concrete che vadano sensibile a modificare i cicli antropici per modificare una situazione ormai  divenuta insostenibile.

L’aumento della temperatura

Non giova sapere che lo scorso anno abbiamo registrato il livello più elevato in termini della serie di temperatura media annuale sulla terraferma e il secondo più caldo della serie di temperatura media su terraferma e oceani insieme.

Da gennaio a novembre tutte le temperature globali medie mensili si collocano tra i quattro valori più alti dall’inizio delle osservazioni, in particolare i mesi di gennaio, maggio e settembre sono risultati i più caldi delle rispettive serie storiche; dicembre è stato l’ottavo più caldo.

Nel 2020 l’anomalia della temperatura media globale sulla terraferma è stata di +1.44 °C rispetto al periodo 1961-1990.

La temperatura dei mari

Un altro aspetto che evidenzia la linea di confine alla quale siamo giunti è quella della temperatura media superficiale dei mari italiani.

Sempre nel 2020, essa ha stabilito un’anomalia media di +0.95 °C: il dato si colloca al quarto posto dell’intera serie dal 1961.

Nell’arco degli ultimi 22 anni la temperatura media superficiale del mare è stata sempre superiore alla media, ed in particolare nove degli ultimi dieci anni hanno registrato le anomalie positive più elevate di tutta la serie. Nel 2020 le anomalie sono state positive in tutti i mesi dell’anno, con i valori massimi ad agosto (+1.7 °C) e a maggio (+1.4 °C).

Per quanto riguarda il nostro Paese, il 2020 ha costituito il quinto anno più caldo dal 1961, registrando un’anomalia media di +1.54 °C. A partire dal 1985, le anomalie sono state sempre positive, ad eccezione del 1991 e del 1996. Il 2020 è stato il ventiquattresimo anno consecutivo con anomalia positiva rispetto al valore normale; il decennio 2011-2020 è stato il più caldo dal 1961.

Precipitazioni

Da ultimo, qualche dato che riguarda la pioggia sul nostro territorio.

ISPRA rileva che lo scorso anno, è stato il 23° anno meno piovoso dal 1961. Sull’intero territorio nazionale, i mesi mediamente più secchi sono stati gennaio (-75%) e febbraio (-77%), seguiti da novembre, aprile e maggio, mentre dicembre è stato il mese mediamente più piovoso, con un’anomalia di +109%.

Al Nord il mese più piovoso si conferma dicembre, con un picco di anomalia positiva di +182%, seguito da ottobre (+69%) e giugno (+50%); anche al Centro il mese più piovoso si conferma dicembre, con un picco di anomalia positiva di +92%, seguito da giugno (+45%); al Sud e Isole i mesi relativamente più piovosi sono stati settembre (+67%) e luglio (+58%). Novembre è stato il mese più secco al Nord (-85%), gennaio al Centro (-69%) e al Sud e Isole (-78%).

Anche nel 2020 non sono mancati eventi di precipitazione intensa. I valori più elevati di precipitazione giornaliera sono stati registrati in occasione dell’evento alluvionale di inizio ottobre.

In un’ampia zona del Piemonte settentrionale, il 2 ottobre sono state registrate precipitazioni cumulate giornaliere comprese fra 400 e 500 mm; nella parte occidentale della Liguria e all’estremo confine meridionale del Piemonte si sono superati localmente i 350 mm di precipitazione.

Indici climatici rappresentativi delle condizioni di siccità: valori elevati del numero di giorni asciutti, superiori a 300 giorni, si registrano in diverse aree del territorio nazionale, con punte di 341 giorni a Pescara e a Capo Carbonara (SU).

Il numero massimo di giorni asciutti consecutivi nell’anno ha raggiunto i valori più alti in Sardegna ed in Sicilia (fino a 90 giorni secchi consecutivi) e i valori più bassi sulla dorsale appenninica e su Alpi e Prealpi (fino a 20 giorni).

Per maggiori informazioni

Le presentazioni della giornata di lavoro:

9 – Stato maggiore aeronautica

8 – La sicilia

7- Il 2020 in ER

6 – Il caso Piemonte

5- Il caldo inverno di Milano

4- Eventi estremi ITA

3 – ARPAE – indicatori clima

2- Protezione civile

1 – ARPA Piemonte

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Pubblicato da ISTAT il rapporto degli indicatori BES: la raccolta separata dei rifiuti incide su benessere

Nel consueto il rapporto degli indicatori BES, emerge un ruolo rilevante della raccolta differenziata come indicatore dello stato di benessere della Comunità. In particolare è stato rilasciato da ISTAT il nuovo sistema degli indicatori del Bes (benessere equo e sostenibile) aggiornandolo con l’indicatore “ambiente”. Vediamo le evidenze che riguardano i rifiuti.

Che cosa sono gli indicatori del BES

Costituiscono il set di indicatori predisposto da ISTAT che illustra i 12 domini rilevati per la misura del benessere.

Esso viene aggiornato e commentato annualmente in un apposito rapporto.

In particolare, lo scorso anno, esso è stato ampliato a 152 rispetto ai 130 delle scorse edizioni, con una profonda revisione che tiene conto delle trasformazioni che hanno caratterizzato la società italiana nell’ultimo decennio, incluse quelle legate al diffondersi della pandemia da COVID-19.

A partire dal 2018, viene pubblicato anche un aggiornamento intermedio per tutti gli indicatori per i quali sono già disponibili dati aggiornati.

L’indicatore ambiente

Con il Rapporto 2021, il focus di ISTAT va anche sulla raccolta dei rifiuti. In particolare, emerge che Produrre meno rifiuti e aumentare la raccolta differenziata genera effetti positivi sull’ambiente e di conseguenza sulla salute e il benessere delle persone.

Nel 2019, la produzione di rifiuti urbani in Italia si attesta a 30,1 milioni di tonnellate, pari a 503,6 chilogrammi per abitante; il 61,3% di tali rifiuti è stato soggetto a raccolta differenziata, il resto è stato depositato nelle discariche o smaltito negli inceneritori/termovalorizzatori, una quota ancora lontana (circa 4 punti percentuali) dall’obiettivo del 65% che il nostro Paese avrebbe dovuto raggiungere entro il 31 dicembre 20127.

Nel 2019 circa la metà delle province italiane (54 su 107) non raggiunge il target del 65% .

Le percentuali maggiori di raccolta differenziata si osservano nelle province del Nord-est e della Lombardia, quelle più basse nel Mezzogiorno. A Treviso, Mantova, Belluno, Pordenone e Reggio nell’Emilia si raggiungono valori superiori all’80% mentre a Palermo si registra la quota più bassa (29%). Tra le eccezioni positive, nel contesto di un Mezzogiorno in ritardo, spiccano le province della Sardegna, tutte con più del 69% di raccolta differenziata (Oristano 78,1%) e alcune province del Sud, come Chieti (72,5%) e Benevento (71,9%). Significativi anche i risultati di alcuni territori del Centro, in particolare in tutte le province delle Marche i valori superano il 66%. All’opposto, nel Nord sono diverse le province piemontesi e liguri a registrare quote inferiori al 65%, insieme alle lombarde Pavia (54,8%) e Sondrio (56,2%).

In generale negli ultimi dieci anni in tutte le province si registra un incremento delle quote di raccolta differenziata, inoltre si riduce di circa 10 punti percentuali il divario tra il Nord e il Mezzogiorno.